La Triestina l’anno prossimo giocherà ancora in Serie C. Un incipit che un anno fa, dopo l’eliminazione dai playoff di Palermo, suonava come l’ennesima delusione. Oggi, al contrario, quelle stesse parole sono le più dolci e insperate che un tifoso dell’Unione potesse sentire. Perché per salvare questa squadra e la sua gente da un altro disastro sportivo ci è voluto davvero qualcosa di irripetibile: l’ultimo mese di questo campionato trascende da ogni logica e da ogni spiegazione razionale. Tutti concordavano sulla bontà della base da cui ripartire l’anno prossimo, in caso di salvezza, per cercare di disputare un campionato quantomeno più ambizioso. Ma sarebbe stato quanto di più tipicamente triestino dilapidare questo prezioso potenziale con una dolorosa retrocessione; l’ennesima, sfortunata, sliding door. Ebbene stavolta, evidentemente, qualcuno ha deciso che doveva andare diversamente.
In sala stampa, Augusto Gentilini ha menzionato, nella commozione generale, l’amico Billy Marcuzzi, “che sicuramente ci ha aiutati”. Ma noi siamo certi che non sia stato l’unico ad aver dato una mano, perché la Triestina, di tifosi lassù, ne ha decisamente più di qualcuno. L’ultimo ad essersene andato, tra quelli “nobili”, è il presidente Mario Biasin, il “triestino d’Australia” che dapprima ha salvato, e poi - senza riuscirci solo per un soffio - ha provato, finché ha potuto, a riportare in alto la squadra della sua amata città. E senza scomodare il paròn Nereo Rocco, che pure avrà tifato per noi anche stavolta, c’è da scommettere che il gol della Pro Patria al centesimo minuto, così come le reti di Felici e Adorante a Crema, e il tiro-salvezza di Tavernelli, siano stati soffiati verso la porta anche da tutte le altre persone comuni, i semplici tifosi, che ci hanno lasciato anzitempo senza poter assistere con noi alle vicissitudini dell’Unione. I nostri storici vicini di posto allo stadio, i nostri papà che ci hanno trasmesso l’amore per questi colori; i nonni alabardati. Tutti abbiamo qualcuno, lassù, con cui condividere immaginariamente le gioie e i dolori a tinte biancorosse.
Chi scrive, dagli spalti dello stadio Ferruccio, al minuto 91 ha alzato lo sguardo verso il cielo nuvoloso di Seregno: “Ma allora? Davvero deve andare così?” la domanda riecheggiata nella mente delusa e rassegnata ormai allo scenario peggiore. Quasi a spronare, con l’illusione di un bambino, chiunque o qualunque cosa potesse in qualche modo cambiare il corso della storia che si stava scrivendo. E al minuto 92, quando anche l’idea di avvicinare l’area avversaria era appannaggio dei più inguaribili ottimisti, come un fulmine a ciel sereno è arrivata la risposta sul campo: la Triestina è risorta un’ultima volta, quella decisiva. Camillo Tavernelli si è reso veicolo di un amore, quello per l’alabarda, che arriva da molto lontano, attraversa i tempi, unisce le generazioni; anche quelle che non si sono mai incrociate. Il miracolo di Seregno è frutto di questo: stavolta, proprio non poteva finire in quel modo.
Una volta per tutte possiamo finalmente guardare avanti; perché forse anche la dea bendata, nell’ultimo periodo, è diventata un po’ alabardata. E allora grazie, a lei e a chiunque, dall’alto, abbia dato una piccola mano. Ci rivediamo l’anno prossimo.