Da una parte, è vietato fare sogni proibiti dopo appena 80 minuti di campionato. Dall’altra, c’è la consapevolezza che questo è un gruppo-squadra che sa già come si lotta in serie A e come si vince nei finali punto a punto. Vedere la Pallacanestro Trieste lassù in classifica, a quota quattro punti dopo due giornate, era forse quanto di più inaspettato ci si potesse immaginare: un calendario tosto sin dall’inizio non permetteva infatti di auspicare un percorso netto, eppure la squadra di Jamion Christian ha talento e carattere da vendere. E tanti diversi protagonisti che da subito hanno messo le cose in chiaro: non si vuole essere la classica neo-promossa con lo status di meteora, ma un team in grado di dare fastidio a tutti. Detto, fatto.
Certamente, guardando il film delle prime due gare di stagione, si nota come la Trieste attuale abbia un baricentro spostato quasi interamente sull’asse americano: solo Ruzzier e Candussi, nel gruppo consolidato di italiani, stanno avendo un minutaggio costante sul parquet. E se da un lato “preoccupano” rotazioni sin qui ridotte pressoché all’osso (attendendo anche il ritorno in pianta stabile di Justin Reyes, sulle cui condizioni fisiche non si ha ancora un quadro delineato), è altrettanto vero che un certo tipo di equilibrio i biancorossi lo hanno trovato con il nucleo a stelle e strisce. Al netto di una situazione-falli che, sia contro Milano che domenica a Napoli, aveva rischiato di estromettere i big (con l’Olimpia era stato Brown a pagare pegno in tal senso, così come Ross al PalaBarbuto), così come le tante palle perse che soprattutto in terra partenopea avrebbero steso chiunque.
Eppure, la Pallacanestro Trieste che attualmente condivide la vetta della serie A con Trento, Brescia, Virtus Bologna e Tortona (quest’ultima avversaria giuliana sabato prossimo), ha trovato il modo di mascherare i propri “peccati originali” con le fiammate dei propri big. Un esempio? Quella scheggia impazzita di Denzel Valentine a fare malissimo nei primi venti minuti e a diventare il principale elemento che ha spostato l’ago della bilancia verso il lato biancorosso. Ma in tutto questo c’è anche, come Jarrod Uthoff, è l’esatto rovescio della medaglia dell’ex giocatore di Milano: mai sopra le righe in termini di linguaggio del corpo e abile a trovare la quadra giusta tra difesa (quante stoppate!) e attacco (i punti della staffa a Napoli sono arrivati da lui). Un mix che per Trieste significa essere in scia alle grandi del campionato.
È lecito dunque sognare e pensare davvero a qualcosa di più di una semplice salvezza? Se il basket ci ha insegnato qualcosa in tutti questi anni, nel bene e nel male, è che i conti si fanno sempre alla fine. Di fatto, la Pallacanestro Trieste di questo inizio stagione – con i suoi pregi e i suoi difetti – fa strabuzzare gli occhi dei propri tifosi. E se c’era da piantare una pietra angolare nel difficile cammino biancorosso della serie A ritrovata, meglio di così non si poteva iniziare…
(credits ph. Pallacanestro Trieste)